La mostra fotografica di Steve McCurry, curata da Biba Giacchetti, racconta i suoi 40 anni di carriera tramite una selezione di un centinaio di scatti e lo fa nel migliore dei modi: offrendo una visione della sua opera “senza confini”. Dal momento in cui lo spettatore si addentra nella prima stanza del museo è catturato da una serie di scale sospese, che si snodano l’una nell’altra e sostengono i quadri non affissi alle pareti. Si perdono i limiti spaziali e temporali e si viene immersi completamente in un susseguirsi di foto che, altrettanto liberamente, appartengono a tempi e luoghi diversi. Una mostra senza confini anche dal punto di vista geografico, in quanto ripercorre diversi viaggi di McCurry dall’Afghanistan all’India, dal Medio Oriente al Sudest asiatico, dall’Africa a Cuba. Si annullano le distanze tra diverse etnie e culture perché è la bellezza la musa dell’obiettivo di McCurry, ed è quanto di più umano e universale si possa incontrare, sia nel dettaglio che nella visione d’insieme.
Le guerre e il capitalismo inghiottiscono le tradizioni locali e le culture dalle profonde radici nel passato, ed è qui che avviene lo scatto. Nei quadri ci sono sempre le persone e, laddove si dà importanza anche al paesaggio, si fondono in un’unica bellezza.
Le prime due stanze mostrano foto appartenenti al reportage del 1980, che valse la fortuna del fotografo. L’allora freelance squattrinato partì con i rullini cuciti nei vestiti per tenerli al sicuro, e scattò foto in bianco e nero perché meno dispendiose. Spesso sono ritratti i mujaheddin all’inizio della loro guerriglia contro l’unione sovietica, quando ancora erano armati alla bell’e meglio, e dei quali spicca prepotente la fierezza e la. profonda dignità.
Le stanze successive sono piene di foto a colori del mondo asiatico. Camminando si viene pervasi dalla luce del tramonto indiano, dalla profonda spiritualità di questi popoli e da scene raffiguranti le loro tradizioni, come il noto Holy Festival in India per accogliere la primavera.
La quinta stanza ruota intorno un viso che abbiamo imparato a conoscere tutti, nel quale brillano, come due fari, gli occhi verdi della ragazza dodicenne: si tratta di Sharbat Gula, la cosiddetta “ragazza afgana”, divenuta simbolo dei rifugiati del mondo. Nel primo viaggio fu incontrata nel campo per i profughi pakistano di Peshawar e nel 2001, grazie a un altro viaggio finanziato dal National Geographic, dopo ben 17 anni, è stata ritrovata e fotografata trentenne e con quattro figli.
L’ultima stanza è la più agghiacciante e contiene le foto delle guerre. McCurry nei ritratti non mostra mai sangue o scene eccessivamente dolorose. Traspare la distruzione creata dalla guerra e il nulla che lascia dietro di sé dalle foto dell’attacco alle Torri Gemelle, scattate tempestivamente dal terrazzo di casa sua, della guerra del Golfo, dei bambini soldato, degli ospedali, del cielo nero per il fumo dei pozzi bruciati nel Queit.
«La maggior parte delle mie foto è radicata nella gente. Cerco il momento in cui si affaccia l’anima più genuina, in cui l’esperienza s’imprime sul volto di una persona. Cerco di trasmettere ciò che può essere una persona colta in un contesto più ampio che potremmo chiamare la condizione umana. Voglio trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che ho trovato di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell’essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità.»
Steve McCurry. Senza confini
PAN – Palazzo delle Arti di Napoli
Palazzo Roccella, via dei Mille, 60, NA
Fino al 12 febbraio 2017
Orari: dal lunedì al sabato 9.30 – 19.30; domenica 9.30 – 14.30
Biglietto: intero € 11; ridotto € 10
Informazioni: 199.15.11.21