Il 27 gennaio è diventato, dall’istituzione nel 2000, il Giorno della Memoria. Un momento da dedicare a cerimonie, incontri, narrazione e condivisione del dolore; un momento da dedicare alle atrocità del passato, alla brutalità dell’uomo. Un momento da dedicare ad un ricordo che è nemico: un’ombra tetra che ha invaso letteralmente il nostro passato, ricevendo la sua malaugurata gloria. Ma il passato seppur passato, non va dimenticato. Perché dimenticare sarebbe come morire due volte. Così, mercoledì 30 gennaio, alle 16,30, nella sala consiliare “Pasquale Cappuccio” della Casa Comunale di Ottaviano, in occasione della Giornata della Memoria, il Comune di Ottaviano organizza il convegno dal titolo “Se questo è un uomo: per non dimenticare”.
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per un pezzo di pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato.
Con queste parole Primo Levi scriveva dei ”sommersi”, coloro i quali non erano sopravvissuti alle atroci condizioni dei campi di sterminio. Durante la seconda guerra mondiale, in tutti i territori occupati dai nazisti, gli ebrei- l’incarnazione del male assoluto– vennero catturati e inviati nei lager: divisi sia per sesso che per età o condizioni fisiche, erano sottoposti alle più crude torture, a patire la fame, a soccombere nelle camere a gas. File interminabili che conducevano nelle fauci della fabbrica della morte, mentre un’agghiacciante e paradossale scritta che accoglieva i deportati recitava Arbeit macht frei (in tedesco: “Il lavoro rende liberi”). Il fumo grigio delle ciminiere si sollevava nel cielo sotto lo sguardo intimorito di chi faceva i conti con la sorte; la rassegnazione, le gote rigate dalle lacrime, le esortazioni ad un Dio che sembrasse non dare alcun segnale..il martirio era un treno in corsa, un treno senza fermata.
Ad Auschwitz c’era la neve
il fumo saliva lento
nei campi tante persone
che ora sono nel vento
Nei campi tante persone
ma un solo grande silenzio
che strano non ho imparato
a sorridere qui nel vento
Era il 1964 e Guccini con il brano Auschwitz coinvolge tutti. Rende chiunque spettatore in prima fila di una messinscena drammatica. Mostra un posto freddo sormontato da uno sbiadito cielo, ancora una volta, un posto silenzioso dove domina la paura. Allo stesso tempo, lascia che da dietro le quinte si intraveda uno spiraglio di luce: si, perché c’è speranza nel domani, negli uomini e nello loro gesta – ”aggiunsi una speranza finale, non perché la canzone finisse bene, ma perché la speranza covava veramente”. In questo modo, tra crudeltà e aspettative, nella giornata di mercoledì vogliamo far calare il sipario riponendo fiducia negli uomini di domani.