La storia risale al lontano 2004, quando nelle strade di Secondigliano imperversa la faida tra il clan Di Lauro da un lato e i cosiddetti “scissionisti”, ribelli ai primi. Il culmine giunge il giorno 11 Dicembre di quell’anno: in una salumeria di Scampia si apre il fuoco che uccide il fratello di De Luise, presunto appartenente al clan Di Lauro, mentre a poche ore di distanza a Casavatore viene ucciso Massimo Marino, cugino del ras (cioè del boss) della famiglia degli scissionisti ribelli, Gennaro “McKay” Marino. In obitorio i parenti delle due vittime, Giovanni De Luise e Cinzia Marino, che si incrociano e così lei, riconoscendolo, lo accusa dell’omicidio del fratello. Giovanni, allora 22enne spedizioniere, viene condannato con l’accusa di omicidio in tutti e 3 i gradi di giudizio e gli viene conferita una pena di 22 anni di carcere da scontare, benché innocente. Inutili i tentativi di difesa e le testimonianze a favore che non vengono accolte ma ritenute inattendibili. La svolta avverrà solo quando, nel 2013, un sicario dei Di Lauro, reo confesso e collaboratore della giustizia pentito, si dichiara il vero colpevole dell’atto efferato. Dopo 8 anni e 8 mesi di prigionia, Giovanni De Luise viene rilasciato, in attesa della sentenza definitiva. Si tratta di una delle tante storie che testimoniano la fallibilità del sistema giudiziario, che talvolta può distruggere una vita per una semplice somiglianza fisiognomica con il killer.